Lavoratore tranquillo, nulla lasciava trasparire il gesto estremo.
Iniziano spesso così le descrizioni di anonimi cittadini i quali, a seguito di un licenziamento, imbracciano un’arma e uccidono. Altri invece scelgono con altrettanta fredda determinazione il suicidio. Perché perdere il lavoro, oggi, si tramuta sempre più in un’inappellabile sentenza di fine corsa? Quale è la trama dietro alle parole di tanti pazienti che affermano il lavoro per me è tutto? L‘attuale ‘società liquida’ attribuisce al lavoro una valenza diversa rispetto al passato: non più un mero strumento di sostentamento economico in un mondo ben strutturato e capace di sostenere l’uomo in tutti i passaggi della vita, quanto uno dei pochi punti di tenuta in un legame sociale che è andato allentandosi nel corso di poche generazioni. E’ il tempo dell’Altro che tramonta, istanza sempre meno capace di dare posto al soggetto. In questo tempo precario l’occupazione fornisce un’identificazione creando un ambiente nel quale ricreare quelle relazioni che la modernità ha progressivamente eliminato, venendo meno i momenti di convivialità , sempre più relegati nel privato o nel mondo virtuale. La perdita del lavoro significa a volte il venire meno improvvisamente di tutto questo. Ecco allora la natura di sinthomo del lavoro . “Elemento riparatore […], una guarigione, un elemento terapeutico[1]” capace di sostenere l’individuo come nodo portante della sua struttura. Per questo motivo diventa drammaticamante ‘tutto’, funzione segregante e totalizzante che assorbe e fagocita i tanti investimenti affettivi che rendono l’uomo un essere che commercia con l’Altro. La clinica indica che sono i più deboli strutturalmente quelli che per primi si chiamano fuori. La melanconia è uno stato dell’animo che predispone ai passaggi all’atto di tipo suicidario, Si tratta di una condizione di esclusione ab inizio, un fuori squadra come dato costitutivo. Nella triangolazione edipica il melanconico non ha trovato forti mani che ne abbiamo circoscritto e protetto il posto. Egli occupa così una posizione permanente di oggetto suscettibile di caduta, portatore di una provvisorietà radicale. Trovare un lavoro per il melanconico obbedisce alla necessità di una stabilizzazione dell’essere che mira a scongiurare la ricaduta nella originaria posizione di cosa. Perdendo il lavoro egli è irrimediabilmente risucchiato verso una posizione primigenia, foriera di un uscita di scena che richiama il passaggio all’atto, il niederkommen di cui parla Lacan: il lasciarsi cadere ‘[…] è essenziale a qualsiasi improvvisa messa in rapporto del soggetto con ciò che esso è in quanto a[2]’. Il lavoro è anche un formidabile punto di tenuta per soggetti con strutture psicotiche non scatenate, le quali perdendo di colpo il punto di equilibrio, vedono concretizzarsi fantasmi persecutori che armano le loro mani sino a passaggi all’atto violenti. Di solito rivolti verso ignari funzionari di apparati Regionali, o impiegati di banca, o immigrati, emissari a loro insaputa di quell’Altro reo di essere il mandante malevolo dei guai dello sventurato. L’ultimo governo italiano ha normato il lavoro, rendendolo piu’ precario. Il nostro centro di psicoanalisi applicata ha cercato di fornire elementi di clinica differenziale al legislatore , cercando di creare in città un apparato recettivo e di sostegno, che integri le questioni economiche con gli strumenti della psicoanalisi, passando dall’insieme ‘ lavoratori’, alla logica dell’uno per uno.
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