Editoriale My Way 10 : Inventare le cose dellʼamore

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Anaëlle Lebovits-Quenehen apre questo numero di My Way immergendoci nellʼuniverso di questi nuovi siti in «dove uomini e donne tentano di incontrarsi allo scopo di avere una discendenza», secondo un contratto che lascerebbe credere allʼesistenza del rapporto sessuale tra un uomo e una donna.

Ora, il testo di Claudine Iddan illustra che anche con un contratto blindato «ogni figura si integra in questa nuova configurazione familiare a partire dal suo proprio bagaglio identificatorio e sintomatico».

E per fortuna!

Poiché è precisamente «questo reale inarrestabile degli eccessi familiari», come precisa Jacqueline Dheret, che crea la lingua del soggetto.

È soprattutto attraverso le maglie del contratto che il piccolo soggetto di queste nuove famiglie cercherà di ancorarsi al mondo, come mi faceva notare recentemente una piccola paziente che interrogava con im(pertinenza) il (non)incontro dei suoi genitori su internet e, da lì, il desiderio che ha costituito il terreno della sua venuta al mondo: «Come hanno fatto ad innamorarsi attraverso lo schermo di un iPhone?».

Come Stefan Zweig insegue il godimento incluso nella lingua, questa ragazzina non ignora le «cose dellʼamore» – come le chiama Epaminondas Theodoridis con Lacan – che sia il discorso capitalistico, sia le dipendenze ad esso intrinseche, tentano di ricoprire.

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