Editoriale My Way 13 : Letteratura e tacche
Come ben dire ciò che del reale affiora e lascia preagire destini funesti?
La scrittura – lʼatto di scrivere – si può misurare con il segno del destino di cui ha accettato di farsi erede?
La letteratura ci offre dei modi per rispondere; è ciò di cui testimoniano gli incontri di lettura di Céline Aulit e Nathalie Georges Lambrichts.
Lʼuna ci conduce sulle tracce che L. Slimani delinea nel suo romanzo «Une chanson douce», sulla logica che conduce un soggetto al passaggio allʼatto, là dove la dimensione soggettiva scompare, strutturalmente. Lʼaltra fa risuonare il punto in cui per M. Cohen confluisce tanto la necessità di scrivere quanto quella di non farlo, rispetto a questo reale al quale si misura, per scrivere «ciò che merita».
Ma, a rovescio, lʼuso della lingua può anche essere il luogo di una destituzione attiva, programmata, di ogni dimensione soggettiva e contribuire anche alla sua esclusione. In questo caso, la lingua si riduce a una funzione di veicolo della logica contabile del padrone contemporaneo, che essa mette in atto allo stesso tempo.
Le testimonianze di Martin Revel e di Catherine Kempf ce ne forniscono delle illustrazioni: ciò che fa ostacolo nella risposta del bambino al programma scolastico, così come i tentativi degli operatori di promuovere il trattamento clinico della sofferenza, viene ridotto a delle tacche, elencate e contabilizzate [1]. Lì non cʼè niente che tenti di far passre nella lingua le manifestazioni di questo reale al quale ognuno deve confrontarsi.
In questa tredicesima consegna di My Way troverete anche la passeggiata etimologica in cui Jean-Claude Encalado ci accompagna, attraversando i campi semantici della parola «way», per portarci unʼondata di freschezza, risvegliando per noi la graziosa parola «guise»[2], questa maniera che è propria del soggetto e non combacia assolutamente con nessun programma.
Traduzione di Marianna Matteoni
[1] Il riferimento è al passo seguente: «Di questo significante primo [il tratto unario] vi ho mostrato le tracce sullʼosso primitivo sul quale il cacciatore fa una tacca e conta il numero di volte che ha fatto centro», in J. Lacan, Il Seminario. Libro XI. I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi (1964), Einaudi, Torino 2003, p. 251.
[2] In italiano, modo, maniera.
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